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I am not okay with this: la recensione della prima stagione

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Di film e serie TV sui superpoteri, negli ultimi tempi, ce ne sono a bizzeffe. Sulla scia del successo di mamma Marvel, la recente produzione hollywoodiana ha partorito adattamenti su adattamenti, cinecomic su cinecomic, accompagnandoci in un’era che, per gli appassionati del genere, non può che apparire come una sorta di età dell’oro. C’è poco da fare: il grande pubblico ama queste storie. Ama i loro personaggi, i loro cliché e le loro morali. E per quanto sarà inevitabile che, prima o poi, questa età dell’oro giunga a una fine (o se non altro una battuta d’arresto), di questi tempi il treno non pare intenzionato a rallentare. Merito anche di alcune produzioni che, attraverso la scelta di source material alternativi (vedi “The Umbrella Academy”) o la creazione di storie completamente originali (vedi l’ormai fenomeno culturale “Stranger Things”), contribuiscono a rifornire questo treno degli indispensabili carburanti che sono la freschezza e l’originalità.



“I am not okay with this” di Netflix si inserisce a pieno titolo tra queste produzioni: storie sui superpoteri che, nel loro distaccarsi da determinati tropi e prendendo in prestito elementi da altri generi, aiutano a prolungare la “vita” della loro intera categoria d’appartenenza. Nel caso di quest’ultima serie prodotta, non a caso, dagli stessi produttori di Stranger Things, i superpoteri si trovano circondati da un contesto fatto di teen drama, un pizzico di esplorazione psicologica e una spolverata di mistero. Un mix che, sebbene suoni improbabile sulla carta, si è dimostrato in questo caso decisamente vincente. “I am not okay with this” è un ottimo esempio di come un concept semplice, quando ben eseguito, possa dar vita a un prodotto finale estremamente soddisfacente. Con soli sette episodi di circa venti minuti, la serie creata da Jonathan Entwistle e tratta dalla graphic novel di Charles Forsman riesce a presentarci un intreccio semplice e al tempo stesso intrigante, condito da un approccio ai personaggi che, proprio in funzione del numero ridotto di questi ultimi, riesce a dare alla sua protagonista e ai suoi co-piloti la giusta dose di colore e profondità.



Sydney Novak, interpretata da una sorprendente Sophia Lillis, è la protagonista assoluta delle vicende della serie. La scelta di dotarla di un diario, col quale Sydney interagisce e “dialoga” internamente è un interessante espediente narrativo, che aiuta a rendere decisamente più tollerabile e giustificabile la presenza di un narratore in grado di commentare le vicende a cui assistiamo. Questo dialogo con il diario si unisce anche al diretto dar voce ai pensieri di Sydney, dai più innocui e pacifici ai più pericolosi e distruttivi. Scelta, quest’ultima, che si sposa magnificamente con la natura dei poteri sovrannaturali della nostra protagonista: poteri psichici, scaturiti dalla rabbia e dalla frustrazione, che Sydney, almeno in questa prima stagione, si è dimostrata quasi totalmente incapace di controllare. Il conflitto interno di Sydney con questi poteri, ma anche con le scoperte sul padre defunto e con vari altri elementi della sua vita adolescenziale sono quindi il fulcro narrativo ed emotivo dell’opera, e la narrazione diretta dei pensieri di Sydney (approccio più tipicamente romanzesco/fumettistico) ha costituito, in questo senso, un indubbio valore aggiunto alla già ottima caratterizzazione del personaggio.



Sebbene in termini di screen time, focus narrativo e sviluppo del personaggio i riflettori siano quasi tutti per Sydney, la serie ci presenta anche due secondari che è impossibile non amare. Stanley Barber e Dina, interpretati rispettivamente da Wyatt Oleff e Sofia Bryant, sono l’epitome dei personaggi di supporto. L’esilarante, immedesimabile, poliedrico e francamente sfortunato Stan funge da dichiarata sovversione della figura del “saggio mentore”; Dina, la gentile ma un po’ ingenua amica del cuore, è a sua volta una sovversione di quello che sembrerebbe il suo ruolo originale: non riveleremo nulla per non entrare in territorio spoiler.

E come tralasciare i membri della famiglia di Sydney? Sua madre, Maggie (interpretata da Kathleen Rose Perkins), nel conflittuale rapporto con la quale la serie tocca forse i punti più profondi e significativi della sua esplorazione psicologica di Sydney; e suo fratello minore, Liam (interpretato da Aidan Wojtak-Hissong), l’adorabile ometto costretto a crescere troppo in fretta a causa della precaria situazione familiare.



Il fatto che finora si sia parlato quasi solo esclusivamente di personaggi e di caratterizzazione potrebbe far sorgere dubbi riguardo all’effettiva natura di “I am not okay with this” come storia sui superpoteri; ed è indubbiamente vero che, rispetto ad altre produzioni, la serie Netflix dia una fortissima prominenza a questi aspetti. A ben vedere, tuttavia, è innegabile come tutto ruoti comunque attorno alle strane capacità di Sydney: dai numerosi problemi che questi le causano in maniera ricorrente nel corso della serie, ad alcuni personaggi che questi la portano ad incontrare. Uno in particolare, la già citata “spolverata di mistero” di questa serie, pare destinato a essere colui che determinerà l’avanzamento del tortuoso percorso di Sydney in questo mondo a lei sconosciuto.

Un percorso di cui non vediamo l’ora di ammirare gli sviluppi.

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