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Luna Nera: l’ennesima occasione sprecata

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È approdata da poche settimana l’ultima serie tv italiana targata NetflixLuna Nera. Le aspettative erano molte, nel panorama italiano è raro trovare serie fantasy di valore, ad alto budget e dalle ottime premesse. Luna Nera aveva tutto questo, eppure è stata l’ennesima occasione sprecata. Ma partiamo dall’inizio.

Siamo nel XVII secolo in un luogo non ben specificato nel centro Italia, e ci viene presentata la protagonista della storia. I problemi iniziano da subito, i dialoghi tra i personaggi risultano forzati, macchinosi, sia per il tono di voce usato e la mimica che per la scrittura in sé. Spesso si ha l’impressione che più che parlare tra di loro stiano spiegando quello che sta succedendo, o peggio, enunciando un soliloquio che però ha ben poco a che fare con la situazione in cui si trovano i personaggi.



Lo stesso problema si riscontra quando vengono affrontati i temi principali della serie: la sorellanza, il pregiudizio, l’importanza di accettare se stessi e gli altri. Temi fondamentali anche vista l’attenzione all’inclusività nella creazione della serie, con una produzione affidata interamente a un gruppo di donne. Questo sembra però non avere aiutato la storia, non viene lasciato nulla nel non detto, viene tutto dichiarato, quasi urlando, in una maniera che però ne sminuisce il potere simbolico ed emotivo.

C’è poi il rapporto tra i vari personaggi che risente di entrambi questi punti: non vediamo Ade che si innamora di Pietro, Persepolis e Spirto sono personaggi cristallizzati, mentre la chimica tra Tebe e Leptis si limita a qualche scena insieme e qualche sguardo che poco trasmette allo spettatore. Persino i vari personaggi che si aggiungono man mano durante la serie rimangono delle semplici ombre, sappiamo di loro quello che ci hanno detto esplicitamente, non quello che ci hanno saputo mostrare. Se avessero deciso improvvisamente di scambiare i personaggi delle varie streghe più giovani probabilmente non ce ne saremmo nemmeno accorti, dato che l’unica cosa che le caratterizza sono i loro poteri. Hanno un nome, ma non una profondità e sono destinate a rimanere delle macchie indistinte.



La cura nella fotografia e nei costumi dei personaggi sono ottimi, ma vengono presto oscurati dagli improbabili effetti speciali che più che trasportarci in un universo in cui la magia è reale ci ricordano che non lo è, oltre ad alcune scelte di regia estremamente discutibili.

Tutto questo sembra inspiegabile visti i nomi coinvolti nella produzione, scrittura e persino gli attori, molti dei quali sembrano essersi dimenticati come recitare nonostante abbiano in passato dimostrato il contrario, come la protagonista Ade, interpretata da Nina Fotaras, la cui performance nel Primo Re è stata formidabile e qui… un po’ meno.

L’unica cosa che rimane dopo aver finito la serie è un grande senso di delusione. Le premesse c’erano tutte, ma è stata l’ennesima occasione sprecata per portare il fantasy italiano fuori dalla sua nicchia e sì, renderlo anche un po’ più inclusivo.

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