Connect with us
Eternals: Ikaris come leader degli Avengers, Richard Madden non lo esclude Eternals: Ikaris come leader degli Avengers, Richard Madden non lo esclude

Film e Serie TV

Eternals, tra politically correct ed errori di sceneggiatura

Eternals, film Marvel della quarta fase dell’MCU, non ha avuto il successo sperato in sala (complice anche la pandemia), ma le critiche al film erano cominciate ben prima della sua uscita. Il motivo pare fosse il cast variegato e troppo politically correct. Il cast di Eternals è variegato, non lo si può negare. Peccato che non sia il reale problema del film.

Published

on

Eternals, film Marvel della quarta fase dell’MCU, non ha avuto il successo sperato in sala (complice anche la pandemia). Ora il film è disponibile sulla piattaforma Disney+, ma le critiche erano cominciate ben prima della sua uscita. Il motivo pare fosse il cast variegato e troppo politically correct.

Eternals Marvel MCU Disney+ Poster con i protagonisti del film

Un’espressione che di questi tempi si sente usare spesso, per indicare quella serie di scelte legate all’inclusione sociale di minoranze e alla parità di genere all’interno del mondo dello spettacolo giudicate eccessive se non proprio fuori luogo rispetto al prodotto realizzato.

Insomma, se Eternals ha fallito, secondo alcuni, è proprio per la presenza di un cast multi-etnico e di una coppia di personaggi LGBT+ ad aver affossato il film.

Ma è davvero questo il problema?

La varietà è che il casting è una delle (poche) cose che funziona.

Una cinese (Gemma Chan), uno scozzese (Richard Madden), due statunitensi (Lia McHugh e Angelina Jolie), un pakistano (Kumail Nanjiani), due afro-americani (Brian Tyree Henry e Lauren Teruel Ridloff), un irlandese (Barry Keoghan), un sudcoreano (Don Lee), un britannico (Kit Harington) e una messicana (Salma Hayek).

Sì, decisamente il cast di Eternals è variegato, non lo si può negare. Peccato che non sia il reale problema del film. Per quanto dispiacerà ai critici del politically correct, il casting è forse una delle poche cose che potrebbe aver funzionato. Non benissimo, ma non ha deluso come il resto almeno.

Eternals Marvel MCU Disney+ Poster con i protagonisti del film

Gli attori scelti infatti hanno una loro logica. Gli Eterni sono creature immortali inviate sulla Terra per difenderla dai Devianti (creature mostruose) e aiutare gli uomini nel loro percorso di evoluzione della specie: ha senso quindi che rappresentino etnie e culture diverse, perché l’umanità è composta di popoli diversi tra loro.

Ciò che davvero non ha funzionato è la sceneggiatura. E no, non perché hanno deciso di dedicare 30 secondi ad un bacio gay tra due non-caucasici, ma perché, molto più semplicemente, la gestione dei personaggi, delle loro storie e delle loro motivazioni è stata pessima. Gli Eternals partono già come gruppo di supereroi ben nutrito: nei fumetti la formazione originale è composta da ben più di 10 personaggi. Insomma, un numero decisamente alto se contiamo che, a differenza degli Avenger, gli Eternals sono stati introdotti tutti nello stesso film senza avere alle spalle delle pellicole dedicate.

Eternals Marvel MCU Disney+ Poster con i protagonisti del film

Un esempio lampante di come un cast molto esteso possa creare problemi è la saga di film degli X-Men. Nonostante la fonte sia una delle serie a fumetti più longeva e apprezzata della Marvel, i film degli X-Men hanno incontrato più di un problema dovuto proprio al cast così esteso, difficile da gestire e approfondire.

Eternals è vittima dello stesso errore. Troppi personaggi che dovrebbero ciascuno avere una storia, morale e obiettivi diversi ma che finiscono per “lottare” tra loro per avere un minuto in più di spazio sullo schermo come protagonisti. Il risultato è che la varietà ricercata finisce per diventare invece una gabbia che rende i personaggi stereotipati, piatti e, in definitiva, noiosi. Un problema questo non dovuto all’etnia degli attori in sé, ma più alla pigrizia della sceneggiatura.

Ma qualcuno ha capito lo sviluppo della trama di Eternals?

Eternals si trascina questo errore in ogni aspetto dello sviluppo del film, tant’è che se dopo la prima visione ti viene da dire “mai più” in realtà un rewatch sarebbe utile per capire quale diamine sia il punto.

Gli Avengers funzionavano perché, prima di unire il gruppo, a ciascun supereroe veniva dato lo spazio di un film sulle proprie origini per brillare, far affezionare i fan e dargli uno scopo. Gli Eternals non hanno tempo per questo. Anzi, non hanno tempo per nulla.

Eternals Marvel MCU Disney+ Poster con Dane Whitman interpretato da Kit Harington

Nel film si intrecciano storie e missioni diverse, tutte spiegate a spizzichi e bocconi, fino a rendere ogni cosa confusionaria e insoddisfacente. In tre ore, il film non riesce ad approfondire davvero nemmeno uno dei temi che mette sul tavolo. Ogni personaggio ha i suoi cinque minuti di gloria, in cui si fa vedere la sua specialità, il suo “quirk”, per poi finire nuovamente nel dimenticatoio o ritrovarsi con una storia personale alquanto confusa (sì Thena, stiamo parlando proprio di te). Ciò che è peggio è che il film non solo prosegue nell’avere questo problema con tutti i suoi personaggi principali, ma addirittura rincara la dose donandoci preziosissimi minuti sul side-plot di Dane Whitman, che se non fosse interpretato da Kit Harington non importerebbe a nessuno.

Come se non bastasse, ogni conflitto interiore viene accennato ma non esplorato, i personaggi entrano ed escono di scena ancor prima che lo spettatore possa affezionarsi o anche, semplicemente, capirne il senso all’interno della vicenda. Non si comprendono le scelte e la morale di alcuni personaggi semplicemente perché non vi è il tempo materiale per capirli e le loro decisioni risolutive finiscono per apparire, se non campate in aria, quantomeno prive delle necessarie giustificazioni.

In questo senso, non aiutano nemmeno i dialoghi, che a volte risultano quasi inutili per il loro spiegare banalità ma non affrontare invece le tematiche più nel profondo. E non aiuta in certi casi nemmeno la performance degli attori stessi. Se il casting si può dire azzeccato, la recitazione non riesce a fare del tutto colpo.

Scena clou: Robb Stark e Jon Snow si contendono l’amore di una tizia di nome Sersi.

Eternals Marvel MCU Disney+ Poster con Sersi (Gemma Chan) e Ikaris (Richard Madden)

Le relazioni tra i personaggi sono da inserire nella “lista del disappunto” di Eternals. Le scene più terribili sono sicuramente quelle che coinvolgono Sersi (Gemma Chan), Ikaris (Richard Madden) e Dane Withman (Kit Harington), che dimostrano di avere tra loro, a livello sentimentale, la stessa profondità emotiva di un cucchiaino. Non c’è chimica, non c’è attrazione, i dialoghi passano dal nonsense al cringe.

Ogni volta che si presenta un’interazione tra loro, la voglia di skippare quei minuti diventa fortissima. Un grande peccato, perché presi da soli gli attori non fanno nemmeno un brutto lavoro e specialmente Sersi e Ikaris (in teoria i personaggi “principali” tra i vari protagonisti) avevano il potenziale per qualcosa di più.

Un altro personaggio che ha funzionato poco è stato quello di Sprite (Lia McHugh), Eterna bloccata nel corpo di ragazzina che passa tre quarti del film a essere scontrosa e arrabbiata col mondo e le scene finali a compiere azioni giustificate da un amore che viene mostrato come una cotta adolescenziale – con buona pace del personaggio che, per tutto il film, cerca di far capire ai suoi compagni quanto sia più matura di come appare. Anche qui, un personaggio che lascia l’amaro in bocca perché, tutto sommato, la sua insoddisfazione e le sue scelte potevano essere approfondite e giustificate meglio.

Le note davvero positive del film sono Druig (Barry Keoghan) e Makkari (Lauren Ridloff) e Gilgamesh (Don Lee) e Thena (Angelina Jolie). Lasciando da parte il fatto che Ridloff riesca a sembrare una ventenne pur essendo classe 1978, la coppia con uno screentime ridicolo riesce a fare colpo più del triangolo amoroso tra i personaggi sopra citati. Bastano letteralmente due scene per renderli la coppia migliore del film, insieme a Gilgamesh e Thena.

Cosa significa Eternals per la quarta fase dell’MCU?

Sicuramente, la Marvel sta mettendo sempre più carne al fuoco. Il numero di supereroi cresce vertiginosamente, ma dopo Eternals sorge una domanda: l’MCU sarà capace di gestirli tutti? E per gestire non si intende semplicemente dar loro dello screentime, ma far sì che vengano rappresentati come personaggi dinamici e in cui il pubblico possa in qualche modo rispecchiarsi. Sembra che in qualche modo ci stia riuscendo con le serie disponibili su Disney+, ma sarà con i film (il prossimo, Doctor Strange in the Multiverse of Madness) che riusciremo a capire che fine faranno i supereroi a cui ci siamo affezionati.

Eternals Marvel MCU Disney+ Poster con i protagonisti del film e il Celestiale antagonista

Per quanto riguarda il politcally correct, invece, inizia a farsi strada il timore che l’inserimento di personaggi appartenenti a minoranze renda la sceneggiatura sempre più pigra. Accogliere nei cast attori di etnie diverse e aggiungere personaggi con sessualità e generi diversi è qualcosa che va fatto e che è giusto fare, a patto che poi la sceneggiatura non si appoggi su questo rendendola la caratteristica principale di quel personaggio.

Ciò che rende davvero interessante un personaggio, ciò che permette allo spettatore di immedesimarsi, non sono solo l’etnia o l’orientamento sessuale, ma anche e soprattutto la morale, la storia, il conflitto interiore tra bene e male, tra scelte giuste e sbagliate, errori (anche gravi, anche quasi imperdonabili), motivazioni, desideri ed evoluzione.

Qualcosa che in Eternals è mancato quasi del tutto, o è stato sviluppato decisamente male.

Un personaggio statico, o un gruppo di personaggi statici privi di tormento o sogni in conflitto tra loro o con il loro mondo non possono funzionare sul lungo termine. Una giusta rappresentazione, che sia varia, deve anche essere pensata e strutturata. Qualcosa che si spera che la Marvel, così come altri franchise, continuino a fare, per evitare di finire nel baratro della monotonia.

Advertisement
Click to comment

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Film e Serie TV

Ecco tutte le novità in arrivo su Lionsgate+ a febbraio

Published

on

lionsgate

Febbraio è un mese freddo che passiamo con piacere al caldo, in compagnia di grandi storie e personaggi intriganti. E perché non rivedere le serie di Lionsgate+ nominate agli Emmy e agli Oscar, vincitrici di Golden Globes, in costume, drammatiche o comiche, ce n’è per tutti i gusti!

SERIE in arrivo su Lionsgate+ a febbraio

NORMAL PEOPLE
Questa serie limitata segue Connell e Marianne dalla scuola al college mentre entrano ed escono dalle vite l’una dell’altra, esplorando quanto possa essere complicato un giovane amore. Paul Mescal è stato nominato per un Emmy (Miglior attore protagonista in una miniserie o in un film) per il ruolo di Connell ed ha appena ottenuto la sua prima nomination agli Oscar (migliore interpretazione di un attore protagonista) per il suo ruolo in Aftersun.
RAMY S1 e S2
Nella prima stagione, Ramy Hassan è un egiziano-americano di prima generazione che sta intraprendendo un viaggio spirituale nel suo quartiere politicamente diviso del New Jersey. Ramy porta sullo schermo una nuova prospettiva nell’esplorare come si vive intrappolati tra una comunità musulmana, che pensa che la vita sia una serie di prove morali, e la generazione dei millenials che pensa che la vita non abbia conseguenze.
Nella seconda stagione, Ramy parla della sua crisi di mezza età, delle relazioni passate e della dipendenza dalla pornografia.
Ramy Youssef ha vinto il Golden Globe 2020 (migliore interpretazione di un attore in una serie televisiva – musical o commedia) per la sua interpretazione del ruolo principale.
THE ACT
The Act segue Gypsy Blanchard (Joey King), una ragazza che cerca di sfuggire alla relazione tossica che ha con la madre iperprotettiva, Dee Dee (Patricia Arquette). La sua ricerca di indipendenza scoperchia un vaso di Pandora, che alla fine la porterà a commettere un omicidio. Patricia Arquette ha vinto un Golden Globe (migliore interpretazione di un’attrice non protagonista in una serie, miniserie o film per la televisione) e un Emmy (migliore attrice non protagonista in una miniserie o film) per il suo ruolo nella serie.
THE GREAT
The Great è un dramma satirico e comico – liberamente ispirato da fatti storici – sull’ascesa di Caterina la Grande, che da straniera diventa la governante femminile più longeva nella storia della Russia. La serie è stata nominata ai Golden Globe nella categoria “Miglior serie televisiva – Musical o Commedia” per entrambe le stagioni, e i due protagonisti Elle Fanning e Nicholas Hoult sono stati nominate per i Golden Globe e gli Emmy nelle rispettive categorie di recitazione.

FILM

DAL 1 FEBBRAIO La sceneggiatura del film, scritta da Chris Morgan e Hossein Amini, si basa sulla vera storia dei quarantasette ronin, un gruppo di samurai che nel XVIII secolo si opposero allo shōgun per vendicare l’uccisione del loro daimyō.

DAL 1 FEBBRAIO Un agente della polizia di Los Angeles scopre un segreto sepolto da tempo che potrebbe far precipitare nel caos quello che è rimasto della società. La sua scoperta lo spinge verso la ricerca di Rick Deckard, sparito nel nulla 30 anni prima.

DAL 1 FEBBRAIO Mark Renton ritorna a Edimburgo dopo 20 anni dalla fuga e rincontra i vecchi amici Sick Boy e Spud. Nel frattempo Franco è evaso di prigione e cerca vendetta contro l’amico che l’ha tradito.

Continue Reading

Film e Serie TV

Su Apple TV+ arriva “Drops of God”, la dramedy ispirata al manga di Tadashi Agi e Shu Okimoto

Published

on

drops of god

Apple TV+ ha annunciato l’acquisizione di “Drops of God”, la nuova dramedy multilingue franco-giapponese di Legendary Entertainment, adattata dall’omonima serie manga bestseller del New York Times, creata e scritta dal pluripremiato Tadashi Agi, con artwork di Shu Okimoto e pubblicata da Kodansha.

Composta da otto episodi, “Drops of God” è interpretata da Fleur Geffrier (“Das Boot”, “Elle”) nei panni di Camille Léger e Tomohisa Yamashita (“The Head”, “Tokyo Vice”, “Alice in Borderland”) nei panni di Issei Tomine ed è prodotta da Les Productions Dynamic in associazione con 22H22 e Adline Entertainment. 

Trama

La serie si apre con il mondo della gastronomia e dei vini pregiati in lutto perché Alexandre Léger, creatore della famosa Léger Wine Guide e figura emblematica dell’enologia, è appena morto nella sua casa di Tokyo all’età di 60 anni.

Il compianto Alexandre lascia una figlia, Camille (Fleur Geffrier), che vive a Parigi e non vede il padre dalla separazione dei suoi genitori, avvenuta quando lei aveva nove anni. Camille vola a Tokyo per assistere alla lettura del testamento di Léger e scopre che suo padre le ha lasciato una straordinaria collezione di vini, la più grande al mondo secondo gli esperti. 

Ma, per rivendicare l’eredità, Camille deve competere con un giovane e brillante enologo, Issei Tomine (Tomohisa Yamashita), che suo padre ha preso sotto la sua ala protettrice e che nel testamento di Léger viene indicato come il suo “figlio spirituale”. Ma la sua connessione con Issei è realmente solo spirituale?

Produzione

Scritto e ideato da Quoc Dang Tran (“Marianne”, “Parallel”), prodotto da Klaus Zimmermann (“Borgia”, “Trapped”) e diretto da Oded Ruskin (“No Man’s Land”, “Absentia”), “Drops of God” uscirà nel 2023 su Apple TV+, Giappone escluso. La serie è presentata in collaborazione con France Télévisions e Hulu Japan.

Kodansha, una delle più grandi case editrici giapponesi, è stata fondata nel 1909 e a oggi vanta una vasta gamma di attività editoriali. Da sempre impegnata nella promozione della lettura, offre numerosi premi letterari, come il Premio Noma e il Premio Yoshikawa, che riconoscono agli autori di maggior talento i contributi per il miglioramento della cultura editoriale.

Continue Reading

Film e Serie TV

Alice in Borderland, ne vale la pena? Decisamente sì

Published

on

Alice in Borderland main cast

Alice in Borderland è serie originale Netflix giapponese basata sull’omonimo manga di Haru Aso. Dopo il successo della prima uscita, la seconda stagione è arrivata su Netflix nel dicembre 2022, per catapultare nuovamente gli spettatori tra i giochi mortali del Borderland, insieme ad Arisu e agli altri protagonisti della serie.

Tra nuovi game e momenti di introspezione

Per fare un veloce recap, Alice in Borderland segue la storia di un gruppo di ragazzi che si sono ritrovati catapultati in una versione distopica di Tokio, dove l’unico modo per sopravvivere è partecipare a giochi mortali la cui difficoltà è determinata da carte da gioco. Con la prima stagione i protagonisti erano riusciti a superare il gioco del 10 di cuori, che aveva creato qualche problema nell’oasi felice che i giocatori erano riusciti a ritagliarsi. È accaduto di tutto, c’erano katane, sparatorie, flashback, momenti di riflessione profondi, e Chishiya che si è improvvisato 5 minutes craft per dare fuoco a Niragi (Dori Sakurada). 

Un finale che sicuramente lasciava ben sperare per questa seconda stagione, dove i protagonisti Ryōhei Arisu (Kento Yamazaki), Yuzuha Usagi (Tao Tsuchiya), Hikari Kuina (Aya Asahina) e Shuntarō Chishiya (Nijirō Murakami, per cui tantissimi fan sono diventati accaniti simp) devono superare i game delle figure, rimasti fino a quel momento avvolti dal mistero. La ripartenza non dà tregua ai personaggi, che dopo un breve momento di sollievo si trovano all’improvviso nel game del Re di Picche, dove il Re armato fino ai denti gioca al tiro al bersaglio con loro.

Alice in Borderland main cast della serie originale Netflix 2020-2022

La seconda stagione punta, oltre che a esplorare nuovi game, ad approfondire ulteriormente i protagonisti, separandoli e dislocandoli in giro per Tokio, ognuno con uno scopo preciso in mente. Chi vuole trovare un senso, chi vuole scoprire cosa si cela dietro questi game, chi ancora piano piano sta cedendo e pensa che non sarebbe così male smettere di combattere e rimanere per sempre nel Borderland. Non c’è mai la reale preoccupazione che uno dei protagonisti venga trapassato da un laser, ma ugualmente lo spettatore può rimanere investito dalle situazioni in cui ognuno di loro si ritrova, domandandosi se sarebbe mai possibile sopravvivere a qualcosa di simile – la risposta è che forse noi saremmo morti nei primi minuti del game di Picche, perché non abbiamo la plot armor.

Modi diversi per arrivare alla stessa morale

All’interno della serie, Arisu, Usagi, Kuina e Chishiya sono sicuramente i personaggi più interessanti e quelli che vengono approfonditi di più. Arisu è il protagonista indiscusso dell’anime: partito come disoccupato senza prospettive, nel Borderland si ritrova spesso a essere il leader che trascina, motiva tutti a sopravvivere e trovare un senso nei giochi, dando speranza.

È lui Alice, deve trovare lui la soluzione finale per far uscire tutti dal Borderland e in questa seconda stagione diventa molto più consapevole del suo ruolo. Il suo legame con Usagi è la spinta definitiva che lo porta a perseguire questo obiettivo, anche se i dubbi sono dietro l’angolo. Dubbi che nutre anche Usagi stessa, che invece rappresenta il Coniglio Bianco, un po’ per il nome (Usagi significa letteralmente “coniglio”), ma soprattutto per il fatto che soprattutto in questa seconda stagione Arisu deve continuamente “inseguirla”, perdendola e ritrovandola nel Borderland, cercando di buttare giù il muro che Usagi si è costruita intorno.

Usagi durante il gioco della Regina di Picche

Ad accompagnarli ci sono altri personaggi più o meno ricorrenti, alcuni dei quali si pensava fossero morti ma che scoprono all’ultimo di essere anche loro nel cast principale e quindi devono finire i giochi. Tirando le somme comunque, ogni personaggio risulta funzionale a un aspetto diverso della trama e del percorso di Arisu. Alcuni ci riescono in modo più incisivo, altri meno, ma arriva il momento in cui ognuno riesce ad avere un momento di gloria.

La serie ci presenta personaggi che pur incarnando archetipi riescono a risultare complessi e umani, con motivazioni e desideri comprensibili, anche se talvolta discutibili. La seconda stagione ne esplora l’evoluzione psicologica, mostrando come la pressione del gioco possa cambiare una persona e come queste esperienze possano influire sulle loro relazioni con gli altri.

Ogni personaggio diventa portatore di un determinato modo di pensare e reagire alle difficoltà che incontra nel Borderland. Kuina ad esempio, che per l’estetica un po’ ricorda il Brucaliffo, dopo essere scesa a patti col suo passato nella prima stagione, ora riflette sulla necessità di avere con sé compagni di viaggio fidati piuttosto che continuare da sola. Come lei, anche Chishiya intraprende un percorso isolato dal resto del gruppo, sfruttando la sua intelligenza per sopravvivere a game di Cuori e Denari. Nonostante lo scarso minutaggio, il personaggio di Chishiya è tra quelli che per i fan “buca lo schermo“.

Sguardo enigmatico e un po’ strafottente, arrogante e calcolatore (seppur edulcorato rispetto al manga), Chishiya è anche tendenzialmente annoiato e privo di spinte per dare un senso alla propria vita. Mentre Arisu all’interno del Borderline trova una ragione per continuare, Chishiya va ancora con l’auto-pilota, affronta i game ma non riesce a trovare una motivazione profonda. Rispetto alla prima stagione, da Stregatto che osserva la situazione dall’alto, lontano da tutti, in attesa di godersi il chaos che scaturisce da ogni gioco, poco a poco anche Chishiya rimane sempre più investito da Arisu. E alla fine diventa lui stesso protagonista di uno dei momenti più interessanti della stagione, dove comprende finalmente quel senso che gli sfuggiva e intravede la speranza di cui Arisu aveva sempre parlato sin dall’inizio.

Alice in Borderland: i protagonisti Chishiya in primo piano, Arisu e Kuina sullo sfondo

Alice in Borderland: una sorta di Squid Game giapponese?

Qualcuno se l’è chiesto e la risposta a questa domanda molto probabilmente è: no. Per quanto entrambe le serie ruotino attorno a un gruppo di persone che, volenti o nolenti, si trovano costretti a partecipare a sfide mortali per sopravvivere, le due opere presentano importanti differenze che riflettono poi anche le culture da cui derivano. 

Squid Game ha un’estetica, personaggi e tematiche molto diverse da Alice in Borderland, riprende temi sociali legati all’economia coreana che sono molto cari alle serie tv di questa nazione, e l’approfondimento dei personaggi viene affrontato in maniera diversa. Alice in Borderland è giapponese dall’inizio alla fine: si respira proprio l’atmosfera da anime (solo, in live action), cosa che non rende la serie meno seria e attuale, dal momento che offre anche più momenti di riflessione e introspezione dei personaggi rispetto a Squid Game. 

Le due serie sono apprezzabili per ragioni diverse e sicuramente la popolarità di serie tv con tematiche distopiche e sociali ha aiutato entrambe a raggiungere la loro attuale popolarità nel pubblico di Netflix.

Alice in Borderland, Arisu e Usagi durante un game

Alice in Borderland, la pecca è il finale lento

Anche questa seconda stagione gli autori hanno esplorato ogni tipologia di game (cuori, fiori, picche e denari) e lo hanno fatto rendendo ogni sfida unica e creativa, senza dimenticare la morale di fondo. Insomma, Alice in Borderland non si è fatta mancare di nuovo nulla: giochi ingegnosi, personaggi con incredibili plot armor, momenti romantici, epifanie e un tizio nudo. Un insieme di elementi che in realtà permette alla serie di passare da momenti assurdi e divertenti (per lo spettatore, per i personaggi che stanno per morire meno) a situazioni in cui ognuno si ferma per riflettere a fondo su ciò che rende davvero una vita degna di essere vissuta. Il tutto senza che le scene vengano tagliate con l’accetta, rendendo la visione fluida e mantenendo lo spettatore immerso nel Borderland. 

Il difetto della seconda stagione non sono atmosfera o tematiche in sé, ma la velocità con cui viene affrontato il tutto. Se nella prima parte di Alice in Borderland tutto si sviluppa con un ritmo un po’ più incalzante, questa seconda stagione fa il contrario: parte con mitra spianato e tensione, per rallentare inesorabilmente sul finale. Il che può avere senso, dal momento che la storia volge poco a poco al suo termine, eppure non funziona del tutto. Negli ultimi episodi i momenti di introspezione e le scene di circostanza per dare una pausa tra i game vengono dilatati a volte in modo eccessivo. Arrivati sul finale sembra esserci un climax, ma viene tranciato da dialoghi che anziché mantenere il ritmo lo rallentano ulteriormente, facendo quasi arrancare uno dei game più importanti della serie. 

Alice in Borderland poster con Usagi e Arisu sopra la carta del 7 di cuori

Gli ultimi momenti nel Borderland non sono intrisi di adrenalina, ma di grandi riflessioni sull’amicizia e su ciò che davvero ci porta ad andare avanti ogni giorno. Pensieri e dialoghi che portano con sé una morale coerente con la storia e i suoi personaggi, ripercorrendo ciò che è accaduto dall’inizio e dando una chiusa alle sfide affrontate sino a quell’istante. Chi non è amante delle lunghe conversazioni sul senso della vita, però, è avvisato, perché come detto il ritmo cala vertiginosamente e gli appassionati dell’azione pura potrebbero non esserne felici. Viene da chiedersi se c’era un modo per bilanciare meglio lo “spiegone” finale e la tensione che prima di allora era stata centrale per la serie. 

Tirando le somme comunque, Alice in Borderland rimane un’ottimo originale Netflix, che è riuscito a vedere la luce in fondo al tunnel delle serie cancellate senza ragione e ha trovato la sua conclusione, andando in pari con il manga. Consigliatissima è la visione in lingua originale con i sottotitoli (così potete simpare meglio per Chishiya) e Reddit aperto sul cellulare, perché tanti stanno ancora speculando su cosa dovrebbe rappresentare il Joker. Idee?

Continue Reading
Advertisement

Trending