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Film e Serie TV

Tiger King: la recensione dell’assurdo documentario Netflix

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C’è un solo indiscusso protagonista in Tiger King, il nuovo documentario targato Netflix: Joe Exotic, un proprietario di zoo redneck, omosessuale, bigamo, cantante country e candidato alla presidenza degli Stati Uniti. E non è nemmeno la parte più strana. Perché più si va a fondo nel mondo dei proprietari dei “big cats”, più le cose si complicano, intrecciano e infittiscono, fino a creare dei veri e propri misteri ancora oggi irrisolti. In questo periodo di quarantena era quasi impossibile che un documentario del genere non conquistasse gli spettatori, ma capire il perché non è così facile.

Ma partiamo dall’inizio.

Il documentario si concentra su vari proprietari di zoo (Joe Exotic, Doc Antle e Carole Baskin in particolare) ma il focus non è quasi mai sugli animali, bensì sugli uomini. La comunità americana degli appassionati dei grandi felini è ampia, e le faide interne sono all’ordine del giorno.



Il documentario di Eric Goode e Rebecca Chaiklin segue il personaggio, degno di un film tragicomico, di Joseph Allen Maldonado-Passage-George Schreibvogel o Joe Exotic, fondatore di uno zoo di grandi felini in Oklahoma. Joe è uno showman, si veste come un cowboy (con l’aggiunta di glitter) tutti i giorni, ed è il re dello zoo, ma come tutti i re ha dei nemici. Conosciamo quindi Carole Baskin, attivista e fondatrice di Big Cat Rescue, un’organizzazione no-profit che ha come obiettivo bandire l’allevamento e lo sfruttamento dei felini. Tra accuse a colpi di video su youtube, post di facebook e serpenti inviati per posta, l’acredine tra i due cresce, tanto che Joe accusa Carole di aver ucciso l’ex marito milionario (scomparso misteriosamente) facendolo divorare dalle tigri, caso ora riaperto anche grazie all’attenzione mediatica arrivata con il documentario. Le parole, si sa, spesso non corrispondono ai fatti, ma non per Joe Exotic, tanto che arriverà a pagare un sicario per cercare di ucciderla, venendo scoperto. Ora si trova in prigione (in isolamento per un sospetto caso di coronavirus), ma continua a professare il suo astio verso Carole.

Ma… Carole ha ucciso il marito? Non si sa. Jack Donald Lewis è semplicemente scomparso nel 1997. E dico semplicemente perché non si sa nulla, letteralmente nulla, su cosa gli sia successo. Il suo furgone è stato ritrovato vicino a un aeroporto, e Carole sostiene che sia scappato in Costa Rica, nonostante l’aereo privato di Don non potesse, secondo gli esperti, arrivare fin lì senza essere notato.

Ma Joe Exotic non è il suo unico nemico: nel mirino di Carole Baskin c’è anche Doc Antle, fondatore di The Institute for Greatly Endangered and Rare Species (T.I.G.E.R.S.), in South Carolina. All’inizio il suo zoo sembra un parco normale, in cui tigri e leoni vengono allevati e mostrati al pubblico, nulla di strano. Ma, come in ogni cosa in questo documentario, c’è sempre un’altra faccia. Doc Antle è più volte paragonato a un santone, lo zoo è il suo tempio e le impiegate parte del suo piccolo harem. Non è un lavoro, ma uno stile di vita, dicono. Eppure anche su di lui calano ombre più profonde, come il dubbio che, una volta cresciuti i cuccioli, molti venissero uccisi, dato che non potevano più essere utilizzati negli spettacoli e cibarli è troppo dispendioso.




Se vi sembra confusionario, assurdo e irreale, è perché è così. Tutte queste storie sono però unite da un filo rosso: l’ossessione. Ossessione che porta a infrangere la legge, sacrificare le persone che si amano e rischiare la vita. Tiger King mostra un lato dell’America spesso dimenticato, più assurdo di qualunque romanzo o serie tv. È l’America sommersa, eppure in piena luce, che però spesso ci rifiutiamo di vedere. La vita di queste persone, infatti, è uno spettacolo. Non c’è un momento di pausa, in cui le telecamere sono spente, e Joe Exotic è il re dello show. Paradossalmente, le tigri finiscono in secondo piano, nella narrazione come nella vita reale. Sembra che di quei felini poco importi ai proprietari, più concentrati sugli occhi rossi delle telecamere, pronte a ritrasmettere ogni loro parola.

Questo documentario ci sfida a osservare da vicino quello che spesso non vogliamo vedere, scoprendo che dietro a ogni luce si nasconde un’ombra, spesso oscura e pronta a inghiottirci. Di episodio in episodio scopriamo nuovi segreti, intrighi e inganni, e prima di essercene resi conto siamo catapultati in quel mondo tanto assurdo da essere irresistibilmente affascinante.

Tiger King non è un semplice documentario, ma un vero e proprio affresco della parte più assurda e contraddittoria dell’America di oggi.

Giornalista pubblicista e Laureata in Lingue e Culture per l’Editoria. Procrastinatrice seriale, vado avanti a forza di caffeina e ansia e in qualche modo sta funzionando. Mi piacciono la lettura, i Beatles, lo Spritz Campari e le maratone (Netflix). Non mi piacciono il caffè annacquato, scrivere biografie e fare liste.

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Anime e Manga

Empire Of Shit: il film (italiano) in collaborazione con Shintaro Kago – Intervista al Regista

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Empire Of Shit: È italiano il nuovo film in collaborazione con il mangaka Shintaro Kago, autore di “Principessa del castello senza fine”, “Fraction”, ”Anamorphosys” e tanti altri titoli cult per i fan del genere.

Il regista infatti è Alessio Martino: Salerno, classe ‘2000, laureando in Cinematografia presso l’accademia delle Belle Arti di Napoli.

Questa storia inizia nel 2021, quando Kago e Martino incrociarono le loro strade grazie alla partecipazione di quest’ultimo al Contest Cinematografico Unco Film Festival, in cui il famoso mangaka partecipava in qualità di organizzatore e giudice. Martino presentò allora il suo corto “Brief Clisterization of Ideology”, ambientato in un mondo distopico, con la quale si aggiudicò il secondo posto.

Un anno dopo, nel 2022, Martino partecipò nuovamente al concorso con il film “The Formidable Wave that Destroyed and Recreate the World”, aggiudicandosi questa volta il primo premio: la merda d’oro.

Vi è infatti un tema comune in queste opere: la merda.
Ed è infatti da questa idea, che Martino presentò a Kago nel 2023, che nasce The Empire of Shit.

La trama è apparentemente molto semplice:

Una giovane donna desidera che le sue feci abbiano un profumo gradevole, e il suo desiderio si avvera. Questo scatena la cupidigia del suo fidanzato, che vede un’opportunità di lucro in questa straordinaria qualità, trasformando una situazione intima in un’impresa commerciale bizzarra e surreale. Ci sarà però un’escalation di eventi, che porterà ad un finale inaspettato.
Se tutto ciò vi ha incuriosito: non sentitevi soli, anche noi vorremmo sapere di più su cosa aspettarci, e proprio mossi da questa curiosità, abbiamo intervistato Alessio Martino, il regista di Empire of Shit.

Ciao Alessio, innanzitutto grazie per averci concesso questa intervista, perdonami ma la peculiarità del progetto mi porta a saltare alcune domande di rito e passare direttamente a questa:

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Perché la Merda?

Ed è questa la domanda che ogni autore vorrebbe sentirsi porre. Scherzi a parte, sia io che Kago abbiamo molto a cuore il tema della merda perché nessuno gli dà il giusto peso. Che sia una commedia o uno Splatter la merda finisce sempre per essere del grottesco fine a se stesso ma fermandoci a riflettere sopra la materia di scarto ci si può trovare una grande fonte di riflessione.

Qual è il processo creativo dietro le scelte più audaci, sia visivamente che a livello narrativo?

Il divertimento. Quando il progetto è nato c’era una sola idea chiara in ballo: un Gojira fatto di cacca. Questo è uno di quei progetti dove il perno centrale su cui tutta questa macchina deve muoversi è proprio il divertimento. Dai costumi alla recitazione, tutto deve essere motivato dalla voglia di sperimentare e divertirsi su qualcosa che non si prenderà mai abbastanza sul serio… e forse proprio per questo sarà molto più seria di quanto essa stessa crede.

Hai lanciato una campagna indiegogo per finanziare questo progetto: qual è il tuo end-goal?  

Prendere i soldi e scappar… cioè! volevo dire, realizzare un lungometraggio. Anche se sembra un’impresa titanica il goal finale sarebbe quello di poter estendere la durata del film al punto tale da darle un corpo vero, e con esso verrebbero tutte quelle fantastiche chicche in più, come la storia manga prequel disegnata da Kago

Come hai attirato l’attenzione del Maestro Kago?  

Ma, di per sé è stato un evento molto organico. Ero a Lucca Comics per girare un documentario, lui era lì come ospite e gli ho semplicemente chiesto di prenderci una birra insieme (le birre alla fine furono molto più di una). Da lì Kago mi ha dichiarato tutto il suo interesse nel voler dedicarsi da anni ad un progetto cinematografico senza avere però mai il tempo per poterlo fare effettivamente. E da quì è arrivata la mia proposta…

Quanto influisce la presenza del mangaka sulla produzione del film?  

Tantissimo. Sotto ogni aspetto. Il progetto senza di lui non esisterebbe proprio. Tutto l’aspetto visivo della fabbrica, dei mostri (Coff, coff… scusatemi per lo spoiler), della palette cromatica e del taglio narrativo è tutto frutto della sua vena artistica che noi come troupe stiamo concretizzando. 

arte-ufficiale-firmata-shintaro-kago-per-il-film-empire-of-shit

Che emozioni pensi scaturirà il tuo corto nel pubblico?  

Così come ti dicevo riguardo il processo creativo, io spero diverta. Spero davvero che lo spettatore si senta annichilito da tutta la follia che gli verrà tirata addosso e che l’unica cosa sensata che si senta di fare sia ridere. Se poi restassero shockati e traumatizzati al punto tale da volerci denunciare, beh se la vedranno con i legali miei e di Kago!!

Posso avere anche io dei gadget?  

No. Scherzo! Se la campagna supererà il goal base, ci saranno belle sorprese per tutti i donatori, ma non posso dire altro ora.

Ti ringrazio nuovamente per averci dedicato del tempo parlandoci del tuo progetto.  

Ma grazie a te per avermi dedicato il tuo. E come dice la nostra mascotte Mr. Unkoman: “Unko! Unko! Unko!”.

Cari lettori, non sappiamo esattamente cosa aspettarci, ma l’hype c’è, e sicuramente ciò che fa più piacere è vedere un talento emergente nostrano mettersi in gioco.

Potete anche voi finanziare questo progetto tramite la campagna indiegogo!

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Film e Serie TV

Il Padiglione sull’Acqua, un viaggio estetico e poetico nel rapporto tra Carlo Scarpa e il Giappone

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Il documentario Il Padiglione sull’Acqua è un viaggio, estetico e poetico, nell’immaginario
dell’architetto veneziano Carlo Scarpa e nella sua passione per la cultura giapponese.
Il Giappone rappresentò per l’architetto un universo ispirazionale ma fu anche il luogo dove
egli morì, nel 1978, all’apice della sua carriera, ripercorrendo misteriosamente i tragitti del
poeta errante Matsuo Bashō.

Attraverso le impressioni suggerite dal filosofo giapponese Ryosuke Ōhashi, la narrazione si
sviluppa lungo il filo di una domanda, la domanda sul senso della bellezza. La possibilità̀ di
questa riflessione accomuna qui le opere scarpiane e l’estetica tradizionale giapponese.
Venezia, nella veste di porta verso l’Oriente e luogo di nascita di Scarpa, e l’esplorazione
incantata delle sue opere, sono l’occasione per rievocare la poetica ed episodi emblematici
della vita dell’architetto.

Essi sono restituiti attraverso le parole del figlio Tobia, dagli allievi Guido Pietropoli, Giovanni Soccol e Guido Guidi, e dal ricercatore J.K. Mauro Pierconti. Un sentimento di nostalgia colora tutta la narrazione. Una nostalgia per quell’evento raro che è la nascita di un artista. Seppur ora abbia abbandonato questa terra, lascia in dono le sue opere e la meraviglia che esse tuttora suscitano.

Carlo Scarpa il Giappone

Carlo Scarpa amava definirsi «bizantino nel cuore, un europeo che salpa per l’Oriente» e proprio come l’artista veneziano, Stefano Croci e Silvia Siberini viaggiano attraverso le ispirazioni nipponiche che lo hanno guidato nella sua costante ricerca del senso della bellezza.

Per farlo, in Il padiglione sull’acqua si fanno guidare dalle ispirazioni del filosofo Ryōsuke Ōhashi e dalle testimonianze del figlio Tobia Scarpa, degli allievi Guido PietropoliGiovanni Soccol e Guido Guidi, del ricercatore J.K. Mauro Pierconti, degli artigiani Paolo e Francesco Zonon e della maestra di ikebana Shuho Hananofu.

Nel 1978 Carlo Scarpa tornò in Giappone. Nessuno sa con precisione quali fossero i suoi intenti. Il celebre architetto giapponese Arata Izosaki ha ipotizzato che stesse ripercorrendo le stesse tappe del poeta errante Matsuo Bashō, riportate nel diario di viaggio Lo stretto sentiero verso il profondo nord, ma purtroppo morì a seguito di una tragica caduta e non raggiunse mai la meta anelata.

Lasciò incompiute delle opere, che lo resero ancora più celebre, come il Memoriale Brion a San Vito di Altivole in provincia di Treviso, scelto anche da Denis Villeneuve tra le location del prossimo capitolo di Dune.

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Film e Serie TV

Constellation: svelato il trailer del nuovo thriller psicologico con Noomi Rapace e Jonathan Banks

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Apple TV+ ha svelato il trailer di “Constellation”, il nuovo thriller psicologico composto da otto episodi intepretato da Noomi Rapace (“Millennium – Uomini che odiano le donne”, “Non sarai sola”, “Lamb”, “Seven Sisters”) e dal candidato all’Emmy Jonathan Banks (“Breaking Bad”, “Better Call Saul”). La serie farà il suo debutto su Apple TV+ il 21 febbraio con i primi tre episodi seguiti da un episodio a settimana, fino al 27 marzo.

Creata e scritta da Peter Harness (“Il commissario Wallander”, “The War of the Worlds”), “Constellation” ha come protagonista Noomi Rapace nel ruolo di Jo, un’astronauta che torna sulla Terra dopo un disastro nello spazio e scopre che alcuni pezzi fondamentali della sua vita sembrano essere scomparsi. La serie è un’avventura spaziale ricca di azione che esplora i lati più oscuri della psicologia umana e segue la disperata ricerca di una donna nel tentativo di svelare la verità sulla storia dei viaggi spaziali e di recuperare tutto ciò che ha perso.

Cast Constellation

Nel cast della serie figurano anche James D’Arcy (“Agent Carter”, “Oppenheimer”), Julian Looman (“Emily in Paris”, “Mallorca Crime”), William Catlett (“A Thousand and One”, “Coppia diabolica”), Barbara Sukowa (“Passioni violente”, “Hannah Arendt”) e con la partecipazione di Rosie e Davina Coleman nel ruolo di Alice. Diretta dalla vincitrice del premio Emmy Michelle MacLaren (“Shining Girls”, “The Morning Show”, “Breaking Bad”), dal candidato all’Oscar® Oliver Hirschbiegel (“La caduta – Gli ultimi giorni di Hitler”, “The Experiment – Cercasi cavie umane”) e dal candidato all’Oscar® Joseph Cedar (“Footnote”, “Our Boys”).

Produzione

Prodotta da Turbine Studios e Haut et Court TV, “Constellation” è prodotta esecutivamente da David Tanner (“Small Axe”), Tracey Scoffield (“Small Axe”), Caroline Benjo (“No Man’s Land”), Simon Arnal (“No Man’s Land”), Carole Scotta (“No Man’s Land”) e Justin Thomson (“Liaison”). MacLaren dirige i primi due episodi ed è produttrice esecutiva insieme a Rebecca Hobbs (“Shining Girls”) e al co-produttore esecutivo Jahan Lopes per conto della MacLaren Entertainment. Harness è produttore esecutivo attraverso la Haunted Barn Ltd. La serie è stata girata principalmente in Germania ed è stata prodotta da Daniel Hetzer (“Monaco – Sull’orlo della guerra”) per Turbine Studios, Germania.

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