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Interviste

Intervista a Marco Crepaldi, fondatore di Hikikomori Italia

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Il fenomeno degli hikikomori è nato in Giappone negli anni Ottanta, ma negli ultimi anni anche in Italia si sono riscontrati i primi casi di giovani che si sono volontariamente isolati in casa. In questo periodo di quarantena è quasi naturale chiedersi: per loro cambia qualcosa? Come passano il loro tempo? E soprattutto, qual è la causa scatenante di questo fenomeno?

Ne abbiamo parlato con Marco Crepaldi, fondatore dell’associazione Hikikomori Italia, laureato in psicologia sociale ed esperto di comunicazione digitale.

Partiamo dalle basi: chi sono gli hikikomori? C’è una definizione ufficiale del fenomeno?

No, non c’è una definizione ufficiale, però è una parola esplicativa, cioè nasce in gergo e in italiano significa “stare in disparte”. È stata utilizzata nel linguaggio comune inizialmente e poi ripresa a livello scientifico per riferirsi alle persone che si isolano in casa. Poi la definizione andrebbe ancora creata: perché si isolano in casa? Cosa fanno in casa?

Ci sono delle tempistiche per essere considerati hikikomori?

Il Giappone si è dato una tempistica perché doveva mappare il fenomeno, quindi ha fatto un sondaggio nazionale e per darsi un criterio minimo di isolamento ha scelto sei mesi. L’hikikomori è considerato tale se è isolato da almeno sei mesi, se non ha rapporti con amici, quindi rapporti al di fuori della famiglia, e se non ha in atto attività di studio o di lavoro e non ha malattie diagnosticate a livello psicologico. Con questo tipo di criterio il Giappone ha diagnosticato più di un milione di casi sia under 40 sia over 40. Ci sono molte persone isolate da 20 o 30 anni, quindi si parla veramente di un problema cronico molto profondo e che non è legato a una singola fase della vita. Molti pensano che l’hikikomori sia una persona che si isola volontariamente per una settimana o un mese… no, un hikikomori è una persona che si isola per periodi lunghi di tempo. Anche in Italia l’isolamento medio è intorno ai tre anni.



Nel video del vostro canale youtube “gli anime possono causare depressione e isolamento?” si è accennato a una cosa molto interessante, ovvero che molti hikikomori italiani sono appassionati di anime e manga. Pensi ci sia un collegamento tra questa passione e l’essere hikikomori? Perché sono così presenti nelle loro vite?

Anche da parte dei genitori c’è la richiesta di capire perché quasi tutti i loro figli hanno questa passione per gli anime. Ad alcuni è cominciata a nascere l’idea che ci potesse essere una correlazione, anche una possibile causa degli anime sull’isolamento degli hikikomori perché sembrava uno degli elementi che più di tutti accomunava questi ragazzi. Allora, io credo che ci sia una motivazione molto semplice. Gli anime sono uno strumento che riesce a valorizzare enormemente gli aspetti psicologici dei personaggi, molto di più di un film. I personaggi negli anime sono raccontati a livello introspettivo, riescono a emergere a livello di personalità e profondità umana. Siccome gli hikikomori sono mediamente persone molto introverse, anche fragili e sensibili, ritrovano nello strumento degli anime qualcosa di particolarmente attraente. Riescono a identificarsi nei personaggi proprio anche per queste loro debolezze, per la voglia di affermarsi nonostante la timidezza e tutte le difficoltà. Tendono a riconoscersi molto di più facilmente che nelle serie tv o nei libri o qualunque altro prodotto di intrattenimento o artistico. Ha un effetto identificatorio molto forte, tanto che molti hikikomori hanno come immagine di profilo sui social l’immagine di un anime, proprio perché finiscono per identificarsi talmente tanto nel personaggio da preferirlo alla loro stessa identità a volte.

L’altro aspetto è che gli hikikomori diventano, tramite questo tipo di meccanismo, incredibilmente appassionati di Giappone, per cui tantissimi hikikomori dicono che il loro sogno è quello di andare in Giappone, per un viaggio, per studiare o a vivere, e la vedono come una salvezza. La cosa paradossale è che la vedono come l’unica strada risolutiva al loro problema, che è un grandissimo paradosso proprio perché il Giappone è la terra con più hikikomori, ed è la terra anche con più suicidi e morti per il troppo lavoro, insomma una serie di problematiche sociali inenarrabili.

Non c’è nessuna correlazione causa effetto, anche se una problematica potrebbe essere che comunque una persona che guarda eccessivamente anime incomincia a vedere la realtà di tutti i giorni come una realtà particolarmente brutta rispetto alla realtà molto colorata, molto affascinante e molto più lineare degli anime. E questo potrebbe, non causare l’essere hikikomori, ma potenzialmente disincentivare un hikikomori a ritrovare nella realtà quotidiana le stesse sensazioni di piacere che invece un anime dà. Quindi questo potrebbe essere eventualmente un fattore peggiorativo della condizione di hikikomori, però mi sento di escludere che gli anime causino direttamente l’hikikomori.



Molti sognano di andare in Giappone, ma non è un controsenso?

Lo sognano ma non lo faranno mai. Spesso gli hikikomori sopravvalutano le proprie competenze. Hanno anche un’idea un po’ illusoria. Ci sono hikikomori che magari non riescono a uscire di casa, ma sognano di andare a lavorare all’estero, ma per andare a lavorare all’estero dovresti quanto meno essere in grado di pulire la tua stanza, per dire. Quindi hanno dei sogni irrealistici, potremmo paragonarli a delle fantasie, che però diventano talmente reali da illuderli che sia quella la soluzione. Spesso questa illusione è rappresentata dal Giappone. Non sempre però, poi ci sono anche hikikomori che non guardano anime, che sono più centrati per esempio sui videogiochi o sulle serie TV. Però la correlazione tra anime e hikikomori c’è, ed è evidente. Basta fare un sondaggio e tantissimi hikikomori ti dicono che loro amano gli anime e che vedono il Giappone come una terra bellissima e piena di positività. È un paradosso.

Quali sono le cause che portano un ragazzo a isolarsi?

Ci sono tante concause, sicuramente non tutti finiscono in questo tipo di situazione quindi sicuramente c’è una base caratteriale che solitamente è rappresentata da una persona inibita socialmente, quindi che fa fatica a relazionarsi e viene presa di mira, che è timida, introversa, magari un po’ più matura della media, più sensibile. Ma qual è il motivo sociologico per cui l’hikikomori si sta evolvendo in questo periodo e non venti o trent’anni fa? In Giappone il fenomeno è nato negli anni Settanta, in Italia è un po’ più recente. Stimiamo che ci siano almeno 100 mila casi, quindi non siamo ai livelli del Giappone (1 milione), però comunque si tratta di un numero importante a livello sociale.

Una delle principali cause è la pressione di realizzazione sociale e la competitività sociale, la società capitalistica in cui viviamo è sempre più competitiva, per eccellere devi avere risultati sempre più alti, e il confronto sociale dettato dai Social Network è aumentato. Per cui oggi non solo devi essere bravo, ma anche costantemente misurato tramite i social con altre persone, quindi sei in una costante gara per la realizzazione personale e questo causa tanta pressione. Questa pressione a volte porta a una rottura.

Inizialmente la scelta di diventare hikikomori può essere interpretata come la scelta di un ambiente sociale, o non sociale in questo caso, rispetto a un altro. Il problema è che poi questa preferenza iniziale diventa qualcosa di cronico, e quando diventa cronico si innesca un’altra serie di meccanismi psicologici, tra cui la paura del tempo perso, che poi fanno sì che questa preferenza iniziale si estremizzi e diventi irreversibile, o difficilmente irreversibile, in certi casi.

Diciamo che sostanzialmente gli hikikomori si nascondono perché nascondendosi non possono essere giudicati o comunque abbassano le fonti di giudizio. Poi una fonte di giudizio rimane sempre, che è la loro, e che è la fonte di giudizio che li distrugge.



Come stanno vivendo gli hikikomori questo periodo di quarantena?

La stanno vivendo in modo diverso, ma mediamente meglio rispetto alla popolazione generale. Per un hikikomori il fatto che le altre persone non escano, che non abbiano modo di realizzarsi, che siano bloccati nel loro processo di realizzazione personale in questa gara, è meglio perché non hanno l’ansia di dover uscire. Forse per la prima volta nella loro vita si sentono normali. Si sentono di fare quello che la società gli chiede di fare, stare in casa e non fare praticamente niente. Però ovviamente ci sono degli estremi in questo tipo di visione. Ci sono i misantropi, tanti hikikomori tendono a diventare molto pessimistici sulla società e sugli altri, quindi cominciano a odiare il genere umano. Quindi se il genere umano sta subendo una guerra o un’epidemia di massa loro sono contenti perché tutto sommato si sta estinguendo quello che loro ritengono essere un male assoluto.

Altri hikikomori invece lo vivono male perché stavano cominciando a uscire, ci sono hikikomori che hanno delle piccole attività fuori che rappresentavano un elemento salvifico… se togli l’unico appiglio che un hikikomori si stava costruendo nei confronti della società lo condanni a una regressione. Temo che quando riprenderà la possibilità di uscire gli hikikomori avranno un contraccolpo psicologico devastante.



Come aiutare una persona in questa situazione? Sia come associazione che come singoli individui. Molti spesso suggeriscono di staccare internet e costringerli a uscire, per esempio.

Non bisogna staccare internet, mai. Sicuramente non in modo repentino per evitare una dipendenza, però non è il primo problema che si riscontra in un hikikomori,

Noi come associazione partiamo dai genitori, perché crediamo che il problema degli hikikomori non sia un problema solo del singolo ma sia spesso un problema famigliare. C’è spesso anche un malfunzionamento dei genitori e della famiglia, quindi facciamo gruppi di mutuo aiuto per genitori e di supporto psicologico con i nostri volontari psicologi per aiutarli a capire la situazione, capire come evitare di mettere pressione sui figli, e quindi riaprire quella che noi chiamiamo la prima porta, che è la porta della camera da letto. Tantissimi hikikomori, soprattutto in Giappone, non hanno rapporti nemmeno con i genitori, quindi già il fattore di vivere bene l’ambiente casalingo è un fattore incredibilmente positivo per un hikikomori.

La prima cosa da fare è cercare di ricostruire l’alleanza genitore-figlio, che è la cosa fondamentale. Anche perché spesso i ragazzi non vogliono aiuto, la maggior parte delle richieste d’aiuto che abbiamo ricevuto sono da parte dei genitori, e pochissime da parte dei ragazzi. Per diversi motivi: il primo è che spesso sono disillusi sul fatto che qualcuno li possa aiutare, il secondo è che vedono la società in modo estremamente negativo, quindi non hanno neanche intenzione di tornare in una società che loro stessi hanno rifiutato e che ritengono essere mal vista. Altri ancora negano il problema, dicono che stanno bene e che vogliono semplicemente stare da soli.

La prevenzione è fondamentale, bisogna evitare che il problema si cronicizzi. Poi se questi ragazzi si sono isolati perché venivano soffocati dal giudizio sociale, dall’ansia di realizzazione, dal sentirsi inferiori, e tu genitore o terapeuta gli metti più pressione loro esplodono, perché sono già al limite.

Stiamo lavorando con le scuole per cercare di attuare dei programmi, che permettono agli hikikomori di andare avanti a studiare nonostante la presenza in aula. E sono contento che in questo periodo di chiusura delle scuole si stiano attrezzando per trovare dei sistemi scolastici da remoto, che poi potranno essere utilizzati anche in futuro per gli hikikomori. Perché spesso le scuole questo tipo di cose non le fanno, e quindi lasciano che un hikikomori venga bocciato, anche se magari al momento del ritiro aveva ottimi voti. L’hikikomori non si ritira perché non ha voglia di studiare, si ritira perché non riesce a stare in un ambiente sociale. Quindi stai andando a bocciare un ragazzo mediamente molto intelligente, molto capace a livello scolastico e gli stai facendo un torto doppio.



La maggior parte degli hikikomori sono uomini, c’è una motivazione per questa “divisione”?

Sì, ma è un argomento davvero vastissimo ed è davvero difficile da riassumere. Cercherò di prendere i punti cardini. È legato molto alle aspettative sociali, e queste aspettative variano a seconda del tuo ruolo di genere. Il ruolo di genere è semplicemente quello che gli altri si aspettano da te perché sei uomo o donna. Le aspettative sull’uomo sono un po’ sottovalutate oggi a livello sociale, quindi tutte le pressioni legate al ruolo di genere maschile non vengono molto a galla nelle discussioni pubbliche. Per diversi motivi, un po’ perché c’è un’opprimente presenza delle tematiche femminili, che sono giustissime, però tendono a livello mediatico a essere dominanti; un po’ perché gli uomini sono educati a lamentarsi molto meno dei propri problemi, e un po’ perché non se ne rendono conto, perché se non se ne parla non ci si rende nemmeno conto di quanto il nostro ruolo di genere sia opprimente. Le donne sono educate per il loro ruolo di genere ad essere più attente, sono disincentivate ad avere tanti partner, gli uomini sono invece educati a livello sociale a ricercare più partner, quindi un uomo che rimane vergine è una pressione sociale devastante.

Questo non significa che le donne non hanno problemi, però in relazione alle aspettative sociali che generano l’hikikomori, gli uomini sono mediamente più colpiti perché le pressioni sessuali hanno un ruolo egemone. Poi una cosa interessante è che le donne hikikomori, che statisticamente vanno dal 10 al 30%, hanno pressioni spesso legate al corpo, cioè alla bellezza. Per esempio negli ultimi anni stanno aumentando i fenomeni delle cutters, delle ragazze che si tagliano, che per esempio negli uomini è più basso, perché per le donne il corpo è la più grande pressione sociale. Cambiano le problematiche a seconda del tipo di pressione.



Come possono contattare l’associazione?

Siamo su tutti i social: Yotube, Facebook, Instagram, oppure alla mail info@hikikomoriitalia.it e nella sezione contatti del nostro sito www.hikikomoriitalia.it.

Ecco alcuni video per approfondire l’argomento

Giornalista pubblicista e Laureata in Lingue e Culture per l’Editoria. Procrastinatrice seriale, vado avanti a forza di caffeina e ansia e in qualche modo sta funzionando. Mi piacciono la lettura, i Beatles, lo Spritz Campari e le maratone (Netflix). Non mi piacciono il caffè annacquato, scrivere biografie e fare liste.

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Anime e Manga

Empire Of Shit: il film (italiano) in collaborazione con Shintaro Kago – Intervista al Regista

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Empire Of Shit: È italiano il nuovo film in collaborazione con il mangaka Shintaro Kago, autore di “Principessa del castello senza fine”, “Fraction”, ”Anamorphosys” e tanti altri titoli cult per i fan del genere.

Il regista infatti è Alessio Martino: Salerno, classe ‘2000, laureando in Cinematografia presso l’accademia delle Belle Arti di Napoli.

Questa storia inizia nel 2021, quando Kago e Martino incrociarono le loro strade grazie alla partecipazione di quest’ultimo al Contest Cinematografico Unco Film Festival, in cui il famoso mangaka partecipava in qualità di organizzatore e giudice. Martino presentò allora il suo corto “Brief Clisterization of Ideology”, ambientato in un mondo distopico, con la quale si aggiudicò il secondo posto.

Un anno dopo, nel 2022, Martino partecipò nuovamente al concorso con il film “The Formidable Wave that Destroyed and Recreate the World”, aggiudicandosi questa volta il primo premio: la merda d’oro.

Vi è infatti un tema comune in queste opere: la merda.
Ed è infatti da questa idea, che Martino presentò a Kago nel 2023, che nasce The Empire of Shit.

La trama è apparentemente molto semplice:

Una giovane donna desidera che le sue feci abbiano un profumo gradevole, e il suo desiderio si avvera. Questo scatena la cupidigia del suo fidanzato, che vede un’opportunità di lucro in questa straordinaria qualità, trasformando una situazione intima in un’impresa commerciale bizzarra e surreale. Ci sarà però un’escalation di eventi, che porterà ad un finale inaspettato.
Se tutto ciò vi ha incuriosito: non sentitevi soli, anche noi vorremmo sapere di più su cosa aspettarci, e proprio mossi da questa curiosità, abbiamo intervistato Alessio Martino, il regista di Empire of Shit.

Ciao Alessio, innanzitutto grazie per averci concesso questa intervista, perdonami ma la peculiarità del progetto mi porta a saltare alcune domande di rito e passare direttamente a questa:

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Perché la Merda?

Ed è questa la domanda che ogni autore vorrebbe sentirsi porre. Scherzi a parte, sia io che Kago abbiamo molto a cuore il tema della merda perché nessuno gli dà il giusto peso. Che sia una commedia o uno Splatter la merda finisce sempre per essere del grottesco fine a se stesso ma fermandoci a riflettere sopra la materia di scarto ci si può trovare una grande fonte di riflessione.

Qual è il processo creativo dietro le scelte più audaci, sia visivamente che a livello narrativo?

Il divertimento. Quando il progetto è nato c’era una sola idea chiara in ballo: un Gojira fatto di cacca. Questo è uno di quei progetti dove il perno centrale su cui tutta questa macchina deve muoversi è proprio il divertimento. Dai costumi alla recitazione, tutto deve essere motivato dalla voglia di sperimentare e divertirsi su qualcosa che non si prenderà mai abbastanza sul serio… e forse proprio per questo sarà molto più seria di quanto essa stessa crede.

Hai lanciato una campagna indiegogo per finanziare questo progetto: qual è il tuo end-goal?  

Prendere i soldi e scappar… cioè! volevo dire, realizzare un lungometraggio. Anche se sembra un’impresa titanica il goal finale sarebbe quello di poter estendere la durata del film al punto tale da darle un corpo vero, e con esso verrebbero tutte quelle fantastiche chicche in più, come la storia manga prequel disegnata da Kago

Come hai attirato l’attenzione del Maestro Kago?  

Ma, di per sé è stato un evento molto organico. Ero a Lucca Comics per girare un documentario, lui era lì come ospite e gli ho semplicemente chiesto di prenderci una birra insieme (le birre alla fine furono molto più di una). Da lì Kago mi ha dichiarato tutto il suo interesse nel voler dedicarsi da anni ad un progetto cinematografico senza avere però mai il tempo per poterlo fare effettivamente. E da quì è arrivata la mia proposta…

Quanto influisce la presenza del mangaka sulla produzione del film?  

Tantissimo. Sotto ogni aspetto. Il progetto senza di lui non esisterebbe proprio. Tutto l’aspetto visivo della fabbrica, dei mostri (Coff, coff… scusatemi per lo spoiler), della palette cromatica e del taglio narrativo è tutto frutto della sua vena artistica che noi come troupe stiamo concretizzando. 

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Che emozioni pensi scaturirà il tuo corto nel pubblico?  

Così come ti dicevo riguardo il processo creativo, io spero diverta. Spero davvero che lo spettatore si senta annichilito da tutta la follia che gli verrà tirata addosso e che l’unica cosa sensata che si senta di fare sia ridere. Se poi restassero shockati e traumatizzati al punto tale da volerci denunciare, beh se la vedranno con i legali miei e di Kago!!

Posso avere anche io dei gadget?  

No. Scherzo! Se la campagna supererà il goal base, ci saranno belle sorprese per tutti i donatori, ma non posso dire altro ora.

Ti ringrazio nuovamente per averci dedicato del tempo parlandoci del tuo progetto.  

Ma grazie a te per avermi dedicato il tuo. E come dice la nostra mascotte Mr. Unkoman: “Unko! Unko! Unko!”.

Cari lettori, non sappiamo esattamente cosa aspettarci, ma l’hype c’è, e sicuramente ciò che fa più piacere è vedere un talento emergente nostrano mettersi in gioco.

Potete anche voi finanziare questo progetto tramite la campagna indiegogo!

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Fumetti e Cartoni

The Barbarian King: intervista Cimmerica a Marco Cei e Massimo Rosi

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valeria - leviathan labs

Fin dall’uscita di “Le Spade Spezzate“, proseguendo con “Il Re caduto“, lo spin-off “Salomè“, “Dea della Vendetta“, “Con un Cuore Nero” e a breve con il secondo spin-off, “Valeria“, Daily Nerd ha sempre seguito con interesse lo svilupparsi dell’epopea di The Barbarian King, l’opera edita Leviathan Labs che amplia, continua e approfondisce il mito di Conan, il barbaro più famoso della letteratura.

In questo articolo vi presentiamo l’intervista concessa gentilmente da Marco Cei, sceneggiatore di Valeria (il più recente spin-off di The Barbarian King che vede come protagonista la piratessa guerriera ed ex amante del barbaro) e Massimo Rosi, sceneggiatore della saga principale. Dato l’apprezzamento per la serie che, ci auguriamo, sia stato trasmesso attraverso le nostre recensioni (che naturalmente vi invitiamo a recuperare tramite i link in cima all’articolo), le curiosità da soddisfare con quest’intervista erano molte. Ringraziamo sentitamente Marco e Massimo per la loro disponibilità e, senza ulteriore indugio, vi lasciamo all’intervista!


– “Valeria” è il secondo volume spin-off di Barbarian King. Il primo è stato “Salomè”, che, esattamente come Valeria, deve il suo titolo all’omonima protagonista. In entrambi i casi, quindi, un’attenzione puntata fortemente e fin dalla copertina sull’eroina del racconto – attenzione che, almeno per il volume che abbiamo già potuto leggere, si riflette anche negli eventi narrati. Perché proprio Salomè, quindi, e perché proprio Valeria? Possiamo immaginare che apprezziate particolarmente le incarnazioni originali dei personaggi e vogliate rendere loro onore, ma c’è anche dell’altro?

MARCO: La risposta è piuttosto semplice. Appena Massimo mi ha proposto di scrivere uno spin-off per il mondo di Barbarian King, ho pensato a quali fossero i personaggi che ricordavo maggiormente della saga. Valeria era nei film, era piuttosto celebre almeno fra la mia generazione, ed è stato automatico pensare a lei come protagonista del racconto; magari poteva reggere anche a livello promozionale una storia che la vedesse al centro della narrazione. Che l’altro spin-off veda protagonista un’altra figura femminile non ha influito sulla mia scelta; piuttosto, mi sembrava che il mondo del Cimmero dovesse comprendere anche Valeria, anche in questa nuova incarnazione; per “completezza”, si può dire.

– Salomè ci ha consentito di esplorare anche gli inferi di quest’universo narrativo,oltre che la lontana Khauram. Valeria ci porterà invece nel Vanheim, più vicina alle terre in cui tutto è cominciato – la Cimmeria. Delle ottime occasioni, insomma, per entrare nei meandri delle innumerevoli culture, bizzarrie e crudeltà di questo sfaccettato universo narrativo. Ci sono altri luoghi, città o culture che vorreste esplorare in futuro? Continuerete a utilizzare lo strumento dello spinoff, per farlo?

MARCO: Valeria nasce come spin-off unico, non ci saranno altri volumi dedicati a lei nella saga, le sue vicende verranno riassorbite nella trama del titolo madre; non so darti una risposta, quindi. Se valuteremo di fare altri spin-off della serie principale vedremo. Ho saccheggiato vari comprimari di diversi racconti ambientati in vari territori del mondo del Barbaro; potrebbe essere divertente farlo ancora, chissà. Xuchotl mi attirerebbe, per dire, come mondo da raccontare di nuovo.

– Nella nostra ultima recensione della vostra epopea – quella di “Con un cuore nero” – abbiamo posto l’attenzione sul fatto che il mondo sia in continua espansione anche nella trama principale. Tra la sotto-trama di Hyra e quella di Khon ad Aquilonia, la storia sembra ampliare sempre di più il suo respiro, dando davvero l’idea di star assistendo a un’epica dei giorni nostri. Potete darci un’idea, anche vaga, di quali siano i vostri piani a lungo termine? Avete un’idea di quanto lungo sarà questo racconto, o preferite lasciarvi la libertà di valutare strada facendo?

MASSIMO: Inizialmente il piano per Barbarian King era di avere una run di 6 volumi più uno spin-off su Salomé, poi la cosa, dico la verità, ci ha preso la mano. Abbiamo visto che i lettori amavano questo mondo, questa “vecchia/nuova” epica sword and sorcery, quindi abbiamo deciso di ampliare gli orizzonti senza fossilizzarci troppo. Al momento direi che la serie regolare avrà otto albi, che verranno arricchiti da altri quattro spin off: La Morte di Zenobia scritto da me con i disegni di Jennifer Ventura e colori di Paolo Raiteri; Khonn, il principe selvaggio, sempre scritto da me, disegnato dallo spagnolo Francisco Asencio e ancora alla ricerca di un colorista; lo spin-off su Yara scritto da José Luis Vidal e disegnato da Manuel Espinosa Quirós ed uno speciale a sorpresa… anche se su questi albi non vogliamo limitarci troppo anzi, siamo aperti a proposte da team di autori che vogliono gettarsi nel mondo del cimmero.

– Parlando di Hyra, uno tra i personaggi più interessanti e approfonditi della serie: nonostante un suo importante arco narrativo si sia concluso al termine del quarto volume, la vedremo ancora?

MASSIMO: Assolutamente sì, Hyra ha promesso di seguire il cimmero nel suo viaggio e, come avete visto e vedrete, è una che le promesse le mantiene.

The Barbarian King: Dea della Vendetta recensione


– Hyra è un personaggio completamente originale, e immaginiamo ci siate molto legati – vista anche l’attenzione dedicatale nel terzo e nel quarto volume. C’è qualcun altro, tra le vostre creazioni originali, che apprezzate particolarmente o che vorreste approfondire nei futuri volumi?

MASSIMO: Dal volume 5, che al momento è nelle mani del team Angelo Razzano e Alicia Soria, oltre ad Hyra abbiamo pensato di far viaggiare il nostro cimmero verso est non da solo e di dare vita ad un piccolo gruppo di avventurieri. Delle nostre creazione originali comunque, oltre ad Hyra, io per esempio mi sono affezionato a Bayezid, il generale delle armate di Turan, che ha molto più background di quello che non abbiamo mostrato fino adesso ed ha quel qualcosa, dalla sua devozione alla sua patria, al tradimento del sultano che controllava i suoi uomini, all’incertezza di esser stato una pedina, che lo rende un personaggio che mi ha preso molto, scrivendolo. Per questo per lui ho tenuto una porticina ben aperta per il futuro.

– Parlando invece di personaggi già presenti nella mitologia originale: avete un preferito? Chi, tra tutti, è stato il più interessante da riprendere in mano per dare a lui/lei una continuazione? E il più complesso/a?

MASSIMO: Ho iniziato (spoiler!) a strutturare l’arco di Valeria, nel volume 6 e devo dire che mi sta piacendo tantissimo. Penso che Marco abbia fatto un lavoro meraviglioso e l’amore che ha messo in Valeria in qualche modo l’ho sono ereditato anch’io. Mi piace molto anche il duo Prospero e Trocero, che al momento si sono visti ma non tantissimo, ma che sono due personaggi, ormai mentori e padri adottivi di re Khonn, molto interessanti da sviluppare e da scrivere. Non ho detto anche il Cimmero perché sarebbe scontato, no?


– Il tempo, il decadimento corporeo e mentale, la gloria giovanile ormai perduta: sono tutti temi già esplorati con maestria nella serie principale con il Cimmero e che, si lascia intuire, saranno riproposti anche in “Valeria”. Al di là delle differenze più ovvie e immediate, potete darci un’anticipazione di cosa distinguerà questi due archi?

MARCO: Per me, Valeria rappresenta il rimpianto. Di chi si rende conto che la propria vita è andata in una direzione, ma che, per mancanza della persona amata o per reazione alla stessa assenza, le cose potevano anche andare diversamente. E che, per scherzo del destino, o un karma, un fato non scritto, chiamatelo come volete… ora si trova a fare i conti con la possibilità di un nuovo confronto con la persona che direttamente o indirettamente le ha cambiato la vita. Valeria, e io con lei, si interroga sul proprio senso di sé e su quanto il Cimmero abbia inciso sulle proprie scelte, che la vedono fare ancora la piratessa, indipendente, dura come la roccia… e sola. E ingenua come una ragazza, nonostante tutto. È un fumetto sulla fragilità interiore. E non perché Valeria è donna. Lo siamo tutti, quando il tempo ci presenta il conto delle cicatrici, fisiche e psichiche. E possiamo solo accettare le une e le altre, e ripartire da quelle.

– Il vostro amore per le opere originali del Barbaro è evidente. Per un neofita che intenda approcciarle, tuttavia, la scelta è abbastanza vasta, forse quasi soverchiante. Avete qualche consiglio riguardo al dove cominciare? Racconti che riteniate particolarmente significativi, o autori che, a parte Howard, abbiano reso particolare onore alla figura immortale del Cimmero?

MASSIMO: Quando uscì la news sulla scadenza dei diritti d’autore in Europa abbiamo preso il grosso tomo con tutte le storie di Howard di Mondadori. Come prima fonte importante per seguire le vicende del personaggio di Howard è fondamentale. Abbiamo evitato di avventurarci in fumetti e varie proprio per evitare contaminazioni di grandissimi maestri che però non sarebbero rientrati nel dominio pubblico. Ci siamo divertiti qua e là a citare il film di Milius. Per chi invece non avesse molta voglia di leggere un tomo gigante, il mio consiglio sono gli albi di Conan della Glenat portati qui da Star Comics, penso siano un ottimo riassunto delle storie migliori.

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Interviste

LUCILLAJIGGLY: la twitcher dell’arte

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LUCILLAJIGGLY

Noi di DailyNerd abbiamo girato in lungo e in largo questo Romics2022 e, come si dice, chi cerca trova. Infatti ci ha concesso un’intervista esclusiva la nota streamer Lucilla Materazzi, in arte: Lucillajiggly.

Classe ’96, dottoressa in storia dell’arte, attrice, fotomodella e streamer su Twitch, vantando più di 40.000 follower sulla piattaforma viola e 684.000 su Instagram. Ecco le nostre domande!

Lucillajiggly

“Io sono dottoressa in storia dell’arte, streamer e fotomodella. Nel tempo libero mi piace molto andare nei musei e fare recitazione, anche se ultimamente mi sto allontanando da questo mondo prediligendo lo streaming”.

Twitch o recitazione?

“Sento più vero Twitch. Il mondo della TV e del cinema è troppo corrotto e controverso. Ho avuto delle esperienze in cui, in situazioni di provino, favoritismi e nepotismo erano all’ordine del giorno. Non posso dire di più ma comunque mi è successo in prima persona ed è stata un bella botta”.

“Ovviamente c’è invidia e concorrenza anche nel mondo dello streaming, ma ci sono tante esperienze e incontri positivi che vincono su tutto. Conoscendo molti/e streamer che reputo persone squisite con cui mi piace passare il tempo”.

Ti piacerebbe fare un film tuo?

“Se fosse possibile, sì. Mi piacerebbe fare un qualcosa di genere horror o magari un thriller psicologico. Generi che preferisco”.

Le origini di Twitch

“All’inizio guardavo solo Youtube. Seguivo Willwoosh, Dario Moccia, Zeb89, Yotobi… Twitch in realtà l’ho scoperto per caso, grazie al mio ex che ne era un appassionato. È stato lui, infatti, a spingermi a provare ad aprire un mio canale. Così gli ho dato retta, è andata bene e spero che continui così”.

“All’inizio della mia carriera provavo solo con del Just Chatting, poi ho iniziato ad organizzare live di storia dell’arte, partite di scacchi, salotti con gli streamer ai quali sono più legata, gaming soprattutto su Final Fantasy – mia saga preferita – e adesso vorrei portare un nuovo format dove intervisterò degli artisti contemporanei emergenti”.

L’importanza della community

“Sono molto contenta della mia community, del fatto che, qualsiasi contenuto porti, i miei spettatori siano entusiasti, appoggiano le mie idee, sono calorosi, mi stimano e quindi è una grandissima soddisfazione”.

Hanno influito le live party?

“Sicuramente una fetta della mia community è arrivata da Dario Moccia e sono felice del fatto che siano rimasti. Io ho fatto il primo pub dell’amico ad ottobre, adesso siamo ad aprile e vedo che la community continua a crescere, segno che mi apprezzano, mi stimano e mi fa piacere che apprezzino anche live complesse come quelle di storia dell’arte”.

Hai avuto momenti in cui volevi lasciar perdere?

“All’inizio sì. Purtroppo per chi comincia, all’inizio, è veramente difficile. Twitch è una piattaforma ormai satura e non dà la giusta visibilità in quelle fasi, quindi è proprio difficile emergere”.

Da quanto giochi a scacchi?

“Dunque in realtà gioco a scacchi da pochissimo, nemmeno un anno. Non mi reputo molto brava, anche perché mi distraggo troppo. Ovviamente in live non è semplice: io mi sento molto in colpa se perdo messaggi in chat quindi cerco sempre di leggere tutto e rispondere a tutti”.

Hai mai avuto problemi?

“Per adesso ho sempre avuto una chat molto rispettosa e ne sono fiera. Sporadicamente si sono verificati commenti a sfondo sessista e feticista, ma comunque li definirei episodici. Io sono molto orgogliosa della mia community e voglio loro molto bene”.

Lucillajiggly e l’Arte

“Preferisco insegnare Arte su Twitch piuttosto che in una scuola per diversi motivi, potrei dire banalmente per lo stipendio, ma soprattutto per la mia poca pazienza che non riuscirei ad avere. In tutta onestà non penso sia il mestiere più adatto a me”.

Gestione del tempo

“Gestire la giornata fra Twitch, recitazione e fotomodella non è cosa semplice. Dovrò infatti smettere con la fotografia o comunque ridurre diversi set. Twitch mi prendo molto tempo, soprattutto organizzare le live di storia dell’arte. Per preparare una live del genere su un artista a settimana ci impiego circa 2 giorni e mezzo. Devo trovare i quadri, ‘censurarli’ -Twitch non vuole in nudo nemmeno nelle opere d’arte -, prendere tutte le informazioni per fare in modo che duri almeno un’ora e mezza”.

Com’è iniziata la carriera da fotomodella?

“La mia carriera da fotomodella è iniziata a 18 anni perché mi scoprì un fotografo di Grosseto che mise poi le foto su Instagram. Esplosero totalmente a caso e inizia a lavorare a Milano, Roma , Bologna ecc.”.

Trovi differenze fra Instagram e Twitch?

“Mi sto accorgendo che le differenze sono relative soprattutto alla community. Su Twitch le persone sono molto più fidelizzate: ti riconoscono più facilmente, sono più spigliate, tutti vogliono chiederti una foto e altro. Mentre su Instagram magari ti ammirano esteticamente ma poi non conoscono la persona che sei, di conseguenza si affezionano meno”.

Per noi di DailyNerd è stato veramente un piacere scambiare quattro chiacchiere con Lucillajiggly e speriamo di incontrarla ancora in futuro. Al momento possiamo consigliare le sue live, soprattutto quelle di storia dell’arte. Be brave, be nerd!

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